La mia vita a ferro di cavallo

Mi chiamo Manuela e sono tornata in Sardegna due anni fa dopo aver lasciato il lavoro in Toscana. Un lavoro che mi piaceva da morire all’interno di una struttura ricettiva. Un lavoro che ho dovuto lasciare perché c’erano cose che non andavano bene, non tante, ma importanti, talmente importanti che, se fossi rimasta, avrebbero bloccato il mio futuro e soffocato i miei sogni. Impensabile.

E così eccomi qui, di nuovo a casa dopo 20 anni. Ed è stato non difficile, di più. Perché ho dovuto riprogrammare tutte le mie abitudini su quelle dei miei genitori, riadattare i miei ritmi, riabituarmi a dire dove andavo quando uscivo; cosa che ho sempre fatto eh. Quando ho voluto. Mai se mi sentivo obbligata a farlo.

Ma da qualche tempo ho uno spunto in più, ho ripreso in mano un’idea, un sogno che ho sempre avuto, adattandolo alla realtà di oggi, che sembra particolarmente propensa a farmelo realizzare, ed è quello di far conoscere la Sardegna, quella vera, quella che si estende dietro i chilometri di spiaggia incontaminata, oltre le sfumature di verde e di azzurro del mare che la accarezza. La Sardegna delle tradizioni millenarie, dei nuraghi che, checché se ne dica, ancora nessuno sa con certezza per che cosa venissero costruiti, a cosa servissero e come facessero gli uomini a portare quei massi giganteschi per costruirli. La Sardegna delle tombe dei giganti e delle domus de janas, dei cavallini della Giara più unici che rari e degli asinelli bianchi dell’isola dell’Asinara. La Sardegna delle feste popolari, della Settimana Santa e dei candelieri, del buon cibo e del buon vino. Delle cortes apertas e del Supramonte. La Sardegna di Grazia Deledda, unica donna italiana ad aver vinto il premio Nobel.

Quest’isola è la mia scarpetta di Cenerentola, persa e ritrovata.